Radiotelescopi di Medicina : Le Antenne

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1. Introduzione

1. Introduzione

I segnali radio utilizzati nelle telecomunicazioni sono generalmente modulati, ovvero subiscono una variazione (in ampiezza o in frequenza) nel tempo che segue esattamente la variazione di un segnale audio/video proveniente dall’emittente, inoltre sono emessi ad una ben determinata frequenza e in una banda molto stretta.

Il segnale radioastronomico non presenta invece alcuna modulazione, è generalmente emesso in virtù delle caratteristiche fisiche della sorgente e si manifesta come un segnale incoerente a spettro continuo irradiato contemporaneamente su tutte le frequenze, ovvero come un rumore. Fanno eccezione le forti emissioni legate a processi maser, che sono limitate in bande strette di frequenza ben precisa e le emissioni (o gli assorbimenti) dovute a transizioni molecolari o atomiche in nubi di materia diffusa, che generano righe spettrali analoghe a quelle di un comune spettro ottico.

2. Parametri descrittivi
3. Ricevitori
4. Degradazioni del segnale
4.1 Dallo spazio all'antenna
4.2 Riflessioni nell'antenna
4.3 Perdite nel feed
4.4 Perdite nel ricevitore
5. Sensibilità

L’antenna è in generale costituita da una superficie metallica che ha la funzione di raccogliere il segnale e di convogliarlo all’apparato ricevente (si può dimostrare che i metalli, in genere, sono ottimi materiali riflettenti per le onde radio). La forma più comune è quella del paraboloide di rivoluzione, completamente orientabile, che concentra  la radiazione elettromagnetica incidente nel suo fuoco (v. fig. 1.1).

Disegno con parti che compongono un'antenna

Figura 1.1 : Antenna radioastronomica

Come nell’astronomia ottica anche in radioastronomia si sfruttano combinazioni di più specchi per ottenere una maggior distanza focale in uno spazio più compatto e più posizioni nelle quali allocare gli apparati di ricezione, in questo caso il primo specchio raggiunto dalla radiazione è definito primario (o riflettore) mentre il secondo, più piccolo e posto presso il fuoco del primario, è definito secondario (o sub-riflettore).

Le configurazioni più utilizzate sono la Cassegrain (primario parabolico e secondario iperbolico) e la Gregoriana (primario parabolico e secondario ellittico) e sono illustrate in fig. 1.2.

Raggi riflessi dalla combinazionr CassegrainRaggi riflessi dalla combinazionr Gregory

Fig. 1.2 : Combinazione Cassegrain (a sn, fuoco primario dietro allo specchio iperbolico) e

Combinazione Gregoriana (a ds, fuoco primario davanti allo specchio ellittico)

In radioastronomia non si può utilizzare l’ottica geometrica poiché la lunghezza d’onda osservata non è abbastanza piccola rispetto al diametro dell’antenna. Secondo l’ottica ondulatoria dunque, da un’immagine puntiforme si ottiene una figura di diffrazione costituita da un disco centrale circondato da una serie di anelli (disco di Airy) ,  la cui dimensione caratteristica entro il diametro interno del primo anello è la seguente :

r = 1,22 per lambda diviso D (in radianti)

D= diametro dello specchio primario

λ = lunghezza d’onda osservata

Il raggio del disco costituisce il limite del potere risolutivo raggiungibile : due sorgenti di separazione angolare minore di r non saranno distinguibili e appariranno sovrapposte. In questo senso è la dimensione dello specchio primario a determinare il potere risolutivo dello strumento.

In generale alle lunghezze d’onda radio il potere risolutivo di una singola antenna (single dish) è molto basso anche in caso di onde centimetriche (cui corrispondono alcuni minuti d’arco, contro dimensioni caratteristiche assai inferiori in caso di radiosorgenti), da cui la necessità di ricorrere a una tecnica, chiamata interferometria a sintesi di apertura, basata sull’interconnessione di più antenne operanti simultaneamente. L’insieme delle antenne è definito radiointerferometro.

Con riferimento alla figura 1.3 il modello più semplice di radiointerferometro è costituito da due antenne, poste a una distanza D, detta linea di base, e connesse ad un apparato che ne elabora i segnali (correlatore).

Radiazione ricevuta da due antenne collegate tra loro

Fig. 1.3 : Radiointerferometro a due antenne

Il fronte d’onda emesso da una radiosorgente percorre una lunghezza diversa per raggiungere le due antenne e la differenza di cammino vale :

l uguale a D per cos theta

D= distanza tra le antenne

θ = angolo di elevazione della radiosorgente

Il ritardo con cui il fronte raggiunge R2 rispetto a R1 è dato da :

Tau uguale a l diviso c

c = velocità della luce

Quando l è un multiplo intero della lunghezza d’onda della radiazione incidente i segnali ricevuti dalle due antenne sono in fase (interferenza costruttiva), quando è un multiplo dispari sono in controfasce (interferenza distruttiva). Con la rotazione terrestre θ varia continuamente e il risultato della somma dei segnali è costituito da una serie di massimi e di minimi, ovvero l’equivalente delle frange di interferenza che si ottengono in ottica.

Nell’interferometria radio è quasi sempre utilizzabile l’approssimazione di Fraunhofer :

 R molto maggiore di D al quadrato diviso lambda

R = distanza dall’oggetto che si vuole osservare.

 

In questa approssimazione è possibile, attraverso una trasformata di Fourier,  ricostruire la distribuzione di brillanza del cielo osservato a partire da ampiezza e fase delle frange.

Il potere risolutivo di un radiointerferometro è lo stesso che si avrebbe con una singola antenna avente diametro pari alla lunghezza della linea di base.

In genere le antenne sono connesse tra loro via cavo o via ponte radio, e si estendono su distanze dell’ordine di centinaia di km, fornendo ottime risoluzioni angolari.

Per linee di base maggiori (Very Long Base Interferometry - VLBI)  si utilizza la registrazione dei dati su supporto magnetico,  che vengono poi correlati via software da un computer appositamente dedicato (chiamato per l’appunto “correlatore”). Per effettuare una corretta composizione dei dati è fondamentale avere la perfetta sincronizzazione temporale dei segnali ricevuti dalle singole antenne.

I segnali osservati in radioastronomia sono molto deboli e l’unità di misura del flusso incidente è il Jansky :

Jansky uguale a 10 alla meno 26 per watt diviso (Hertz per metro quadro)

 

   
 

 

 

                                                        

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